Descrizione
I pettirossi non smettono mai di cantare, di Margherita Firpo (eBook)
«E perché questo titolo? I pettirossi non smettono mai di cantare?» una ragazza in sesta fila. Bevo un sorso d’acqua e prendo fiato.
«Vi è mai capitato di attraversare un momento davvero difficile? Beh, immagino di sì, purtroppo. La morte di una persona cara ma, senza scendere così nel tragico, anche un abbandono, essere lasciati dalla persona che si ama, sentirsi traditi da un amico, non sapere come risolvere un problema a vostro figlio, per il quale dareste la vita e invece vi sentite impotenti? Beh, io avevo un’abitudine da bambina, un’abitudine che mi ha insegnato mia madre. Vivevo in campagna allora e, ovviamente, era molto semplice udire il cinguettio degli uccellini. Quando c’erano giornate brutte (ed erano tante, perché ero una bambina molto malinconica, in realtà senza reali motivi), in cui mi sentivo triste e mi sembrava che per colpa del mio problema, anche il più piccolo, la vita si fermasse e fosse impossibile farla ripartire, mia madre mi diceva sempre: Betta, i pettirossi non smettono mai di cantare, anche quando fuori c’è il gelo e loro hanno i piccoli da sfamare, anche quando qualche animale gli distrugge il nido e perdono i piccoli. Il loro canto non si ferma mai, mai davanti alle difficoltà, mai davanti a nulla, prova della vita che, fortunatamente, procede con il suo corso anche quando ci sembra che tutto sia finito. E allora, quando ti sembra che non ci sia una soluzione per nulla, quando ti senti davvero a terra, affacciati alla finestra e spegni i rumori di sottofondo. Vedrai che, ovunque sei, li sentirai.»
Un pomeriggio di sole, una nonnina di novant’anni, una nipote curiosa e di colpo mi sono trovata a camminare per le strade del mio paese ai tempi della seconda guerra mondiale. Domande a raffica a chi quella brutta guerra l’ha vissuta davvero, e non solo; l’ha sentita sulla sua pelle e, come da un vestito pesante, non è ancora riuscita a liberarsene. E poi un viaggio in Africa, in quella terra fatta di parole sussurrate come una ninnananna a un bambino, di passi leggeri e impercettibili come quelli di una gazzella, di scorrere del fiume, di sfumature lievi, tenui, quasi come se la natura volesse dire qui sei in casa mia e fai come dico io, togliti le scarpe e abbassa il volume. Un viaggio a senso inverso, durante il quale è l’Africa a entrare dentro di te e, per mezzo tuo, ti rivela la sua infinita bellezza; un viaggio in cui non c’è bisogno di parole, le sue regole ti segnano come una sorta di codice genetico e capisci che ci sei dentro fino al collo, che in qualunque momento te ne andrai soffrirai per quel distacco. Nasce così questo libro, tra un’intervista a mia nonna e una forte nostalgia per quel popolo che è la linea dell’orizzonte che unisce il resto del mondo a Dio.
Elisabetta Morelli, la protagonista, inizia a prendere forma proprio dopo la morte di sua madre, una donna coraggiosa e saggia che è sopravvissuta ad un pogrom di livelli internazionali ma che ha perso il suo cuore molti anni prima insieme alla sua storia d’Amore. Anche Elisabetta ha dovuto fare i conti con la realtà e dimenticare chi le aveva fatto provare l’emozione vera del primo amore, quella bramosia ardente che fa di un uomo e una donna una cosa sola, il fiato caldo sul collo, le guance arrossate dal freddo di una mattina d’inferno africano. Ora ha quasi cinquant’anni, è sposata, ha tre figli e una gran voglia di cancellare i suoi ultimi vent’anni di vita.
Un destino comune, che si tramanda da madre a figlia, dedicato alle debolezze di tutte le donne, alla paura di essere sole, alla pazienza che molte non sanno neanche di avere, alle figlie di una guerra, perché è facile essere coraggiose se qualcuno lo è stato prima di noi.
- Romanzo vincitore del VII° Premio Letterario Pagine di territorio – Storie di uomini e Paesi 2015
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